Mi chiedevate notizie dalla Lombardia e da Milano e se stessi bene. Vi ringrazio. Ci sono tante cose che mi colpiscono in questi giorni e tante quelle che avrei voluto scrivere. Milano è cambiata repentinamente. Non solo le strade che da affollate sono diventate semideserte e coi negozi spenti. C’è molto silenzio, soprattutto di sera. Un silenzio a cui non si è abituati e che di solito è riempito dal rumore delle auto, dal chiacchericcio dei capannelli di persone giù in strada davanti ai bar, dai suoni di una città che vive. Il silenzio di questi giorni è irreale. Viene interrotto ogni tanto dal suono delle sirene delle ambulanze. Forse sono quelle di sempre ma ci si fa più caso.
È cambiata la prossimità tra le persone, ciò che si vede nell’altro ed è aumentata la distanza fisica. Nello stesso tempo sono aumentati anche i gesti di vicinanza e di solidarietà. O almeno questo è ciò che vivo personalmente.
Mi trovo a compiere azioni insolite, inusuali e sconosciute fino a qualche giorno fa. Lavoro in una struttura psichiatrica. Non si può chiudere perché qui risiedono persone che una casa non ce l’hanno e, anche se l’avessero, sarebbero assolutamente incapaci di viverci da soli. Parenti non ne ha quasi nessuno. Si dice poco niente di queste persone di solito, figuriamoci adesso che l’attenzione è tutta rivolta a problemi ben più urgenti. In questi momenti, dove si respira una certa preoccupazione, sono le persone fragili ad accusare di più.
Aumenta l’instabilità, le ansie, la tensione. Diminuisce la compensazione. Li si cerca di far stare all’interno. Aumentano le richieste di ogni tipo soprattutto quelle di rassicurazione. Io rispondo dicendo di non preoccuparsi e di non aver paura. Che va tutto bene. Spero di essere convincente. Anch’io ho momenti di preoccupazione e incertezza che si sommano alle sollecitazioni emotive quotidiane a cui si è sottoposti nel contesto psichiatrico. Si cerca di fare squadra tra colleghi e di darsi una mano in più. Metaforicamente parlando, ovvio.
La realtà è cambiata improvvisamente per gli ospiti della comunità. Loro che la realtà non la comprendono e non l’hanno mai compresa. Però sentono molto bene. Le distanze, la preoccupazione, le nuove “regole” di convivenza, le mascherine e i guanti. Vogliono uscire perché dicono di aver più anticorpi, che il virus non esiste, di voler comprare i pennarelli, di voler andare solo a bere un caffè al bar. Vagliela a spiegare la situazione.
Presto attenzione a gesti che fino a poco fa erano impensabili. Alle maniglie delle porte e quelle delle finestre, alle penne, agli oggetti che altri hanno preso in mano qui in comunità.
Disinfettare le mani dopo aver aperto una porta.
Disinfettare le mani dopo aver messo una firma
Disinfettare le mani dopo aver usato un telefono.
Disinfettare il telefono.
Questi, e tanti altri, sono i gesti necessari a tutelarsi e tutelare gli altri sapendo che tutte le attenzioni non saranno mai una garanzia assoluta.
Dalla comunità torno a casa a piedi così evito la metro e mi sgranchisco le gambe. Cammino 2 km e 200 metri all’andata, 2 km e 200 metri al ritorno.
Quando finisco alle 21.00, le strade di Milano sono quasi completamente deserte. Rimane qualcuno col cane, i rider della Glovo, i senzatetto e i più disperati. Una città chiusa e per adesso va bene così ma è surreale.
Colpisce vedere come tutto può cambiare in pochissimo tempo e come le certezze più solide non lo siano poi così tanto. E’ una presa di coscienza collettiva o perlomeno spero che lo diventi. Forse ne abbiamo bisogno. Un bagno di realtà di fronte all’imprevedibilità dell’esistenza e alla prospettiva della morte, uno dei più grandi rimossi nei tempi in cui viviamo. Chi può permetterselo, che stia a casa, che dia nuovo senso al tempo libero, o meglio, liberato dal lavoro, dagli impegni e da tutte quelle questioni urgenti che poi tanto urgenti non sono quando cambia l’ordine delle priorità.
Stare con sé stessi non è tanto male, ci si abitua. Come quando, durante un lungo cammino si mette in pausa la quotidianità cui si è abituati e lentamente ci si riappropria di sé e del proprio tempo. Forse ne abbiamo bisogno.
Passerà anche questa. Cogliamo l’occasione per ripensarci, almeno un po’, come esseri umani.
Abbiate cura.
Daniele
libra63clan
Grazie per il tuo racconto e le tue riflessioni. Verrà il momento di tornare a camminare in natura, una delle cose che mi mancano di più.