26 Agosto 2020
Tra le Pale di San Martino, Dolomiti. Dopo un’abbondante e gustosa colazione ci mettiamo in marcia verso il Rifugio Pradidali, a 2278 metri, avanzando per una discesa poco impegnativa. Dal deserto di roccia emerge, qua e là, qualche ciuffetto d’erba con dei teneri fiorellini. Paiono decorazioni disposte da mano femminile per impreziosire il paesaggio aspro e virile.
A un certo punto ci imbattiamo in un incredibile cimitero di lattine e scatolette di metallo completamente arrugginite: alcune sono irriconoscibili, altre conservano ancora, mezzi corrosi, immagini, colori e scritte. Sono lattine di bevande misteriose e scatolette che riconosco essere di tonno, Simmenthal, Manzotin. A quale epoca risalgono? Alcune, forse, addirittura ai tempi della guerra! Ne prendo in mano diverse, scrutandole con attenzione alla ricerca di qualche elemento identificatore (l’ideale sarebbe una data di scadenza), ma non trovo nulla. Infilo nello zaino una lattina che reca la scritta “Holl…”, ripromettendomi di fare una ricerca su internet una volta tornata a casa.
Arriviamo in una specie di vasta conca e, a un tratto, mi balza il cuore in gola: un rumore stranissimo, come il ronzio di uno sciame, sta incrinando il silenzio. Istintivamente comincio a correre e raggiungo Daniele, a diversi metri di distanza. Non ho il coraggio di voltarmi. Gli urlo che c’è un suono che mi spaventa, che siamo inseguiti da api o vespe (lo so, era un pensiero illogico, ma in certi momenti uno non ragiona più), e lui mi tranquillizza esortandomi a guardare dietro, in alto. Vedo sì un grosso insetto che vola a diversi metri dal suolo, ma di metallo: è un drone! Subito dopo sopraggiungono due ragazzi, certamente i padroni della bestiola robotica, e dentro di me provo l’inconfessabile desiderio che vengano multati (l’utilizzo di droni, in questi luoghi, è proibito) come punizione per avermi fatto pigliare un colpo.
Dopo 3 ore e mezza di cammino dall’inizio del percorso, alle 11:30 eccoci al rifugio. Qui troviamo Alessandro, un simpatico signore romano che abbiamo conosciuto la sera prima al Rosetta e con il quale scambiamo quattro chiacchiere. È rassicurante incontrare facce familiari in ambienti sconosciuti. Il Pradidali è una versione più piccola del Rosetta ed è sovrastato dalla Pala di San Martino. Qui si trova Cima Canali, tanto cara a Dino Buzzati che, a quanto pare, ha tratto ispirazione da queste montagne per il “Deserto dei Tartari”. Scoprirò in seguito che lo scrittore – da me amato fin da bambina – ha soggiornato al Pradidali dove c’è ancora la sua camera: peccato non averlo saputo prima, mi sarebbe piaciuto vederla. Ma forse meglio così, posso pensare che sia la doppia che ci è stata assegnata.
Rif. Pradidali – Pale di San Martino, Dolomiti
Ci rifocilliamo con un bel piatto di wurstel e crauti io, gulash con patate Daniele, facciamo un riposino nella camera di Buzzati (!) e infine decidiamo di raggiungere il Passo di Ball, poco distante.
L’ambientazione lunare ha lasciato il posto ad un ambiente dove regna la vita, con verdi praticelli “all’inglese” che ricoprono ampi tratti di roccia e persino un pascolo di pecore che, con il loro scampanio, creano la piacevole colonna sonora della nostra passeggiata. L’alto mare e l’alta montagna sembrano agli antipodi anche se, a pensarci bene, non sono poi così diversi. Li accomunano la vastità degli spazi, il silenzio e la scarsità di tracce umane; anche la roccia è un elemento costante dei due ambienti.
Al Passo di Ball ci sediamo ad ammirare il paesaggio, con la Pala che cattura la mia attenzione in ogni istante. Daniele mi dice che là ci sono ben 11 vie di arrampicata e così mi viene in mente mio fratello che ha passato metà della sua vita a scalare le montagne. Mi accorgo che la connessione internet funziona a meraviglia (incredibile, perché ovunque è praticamente impossibile trovare campo!) e così gli invio subito un messaggio. Mi risponde che, anni fa, è stato su una delle Pale e che sulle Dolomiti hanno scalato praticamente ogni sasso. La sola idea di inerpicarmi su questi bestioni mi fa venire le vertigini, ma lui afferma che, talvolta, ciò che da lontano sembra tanto arduo non è poi così difficile e viceversa. Sarà.
Prendiamo la via del ritorno e, lungo il sentiero, ci ritroviamo spettatori di uno strabiliante gioco magico che sembra opera di un prestigiatore o di un addetto agli effetti speciali. Improvvisamente l’atmosfera si satura di nebbia e non vediamo più niente, dopo qualche minuto i vapori si diradano del tutto, poi tornano a nascondere ogni cosa e via dicendo. Restiamo incantati dalla scena e ringraziamo il cielo di essere a un passo dal rifugio, che raggiungiamo affamati ma pienamente soddisfatti.
Pare di essere stati catapultati nel dipinto di Caspar David Friedrich, “Viandante sul mare di nebbia”
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